mercoledì 23 marzo 2016

Midnight Special


In anni ed anni di visioni, ho sviluppato un certo sesto senso cinematografico.
Quella cosa misteriosa ed intensa che ti fa intuire nel giro di poche inquadrature che il film che stai guardando sarà un capolavoro oppure una mezza schifezza, o una schifezza totale.
A volte, tuttavia, riconoscere un buon film in un lampo o un buon regista nello spazio di una sola pellicola, non è impresa facile. Ci sono registi che lasciano dubbiosi. Si vede un film, e non si è del tutto convinti, se ne vede un altro, e il dubbio rimane, infine se ne vede un terzo e si ha un’illuminazione: trattasi, in effetti, di finto bravo regista (o invece di regista bravo per davvero).
Ieri sera ho avuto questo satori cinematografico, purtroppo in negativo, per il regista americano Jeff Nichols.
Al suo quarto film, Nichols (classe 1978) ha incuriosito con il suo debutto, Shotgun
Stories (del 2007), è diventato famoso nel 2011 con Take Shelter, e si è confermato come regista di prestigio con Mud, l’anno successivo. Ammetto di non aver visto il suo primo film, ma ho diligentemente visto gli altri due, uscendo da entrambe le visioni con la famosa aria perplessa di cui sopra. 
Di sicuro avevo già capito che non era il regista della vita mia, ma mi dicevo che il ragazzo aveva stoffa, che le storie erano interessanti, e poi leggevo le critiche sui giornali e mi sentivo un po’ colpevole a non capire la presunta genialità di questo ragazzo. Poi ieri sera ho visto il suo ultimo film, Midnight Special, e mi è venuto il famoso dubbio globale: ma non è che, per caso, Jeff Nichols sia un regista-sòla? Non sarebbe il primo e non sarebbe nemmeno l’ultimo di registi così, ad essere incensato dai critici.
Jeff Nichols sul set di Midnight Special
Veniamo ai fatti: Alton, 8 anni, non è un bambino come tutti gli altri.
Può vivere solo di notte perché, alla luce del giorno, i suoi occhi sprigionano un raggio di luce talmente abbagliante da essere pericoloso sia per lui sia per chi gli sta intorno. Tutti i telegiornali americani parlano del suo rapimento: in realtà, Alton sta scappando con il padre, Roy, e un amico di quest’ultimo, Lucas. I due lo hanno liberato da una setta nella quale Alton era diventato una sorta di oracolo vivente. Una volta raggiunta la madre, Sarah, i tre si preparano a portare il bambino verso “la sua missione”, qualcosa di misterioso che deve avvenire nel giro di un paio di giorni. Peccato che il gruppo abbia alle calcagna mezza FBI e due scagnozzi della setta. Tutti vogliono mettere le mani sul bambino.
Riuscirà Alton a raggiungere il luogo della sua missione?

Alton (Jaeden Lieberher)
Sono presa da profondo scoramento pensando alla complicatezza e alla inadeguatezza di questa sceneggiatura, che ha dei buchi che manco il famoso formaggio svizzero. 
La setta chiamata il Ranch, tanto per cominciare: chi sono? che fanno? che ruolo aveva Alton mentre stava con loro? cosa significa questo loro look alla Witness-Il Testimone? e i numeri dei versetti che diventano coordinate??? E perché il padre si è svegliato solo adesso a portarselo via? Mah... mistero.
E’ come se il film iniziasse a film già iniziato, non so se rendo l’idea.
La fuga on the road ha del già visto e sentito in milioni di altri film (l’unica scena degna di nota è il satellite che si abbatte sulla stazione di servizio), e l’arrivo dalla madre non migliora certo le cose. Raramente ho visto un personaggio femminile più insulso. Senza alcuno spessore psicologico e del tutto irrisorio rispetto alla storia e al rapporto con il figlio, perché qui l’unico rapporto che conta (come in tutti gli altri film di Nichols, per altro) è quello con il padre. 
Roy (Michael Shannon) e suo figlio Alton (J. Lieberher)
Per un attimo speri che succeda qualcosa di interessante quando compare sullo schermo Adam Driver, invece niente. Anzi, peggio: al suo arrivo, in mezzo a quei bruti ignoranti dell’FBI, capisci che il film sta prendendo una piega imbarazzante. Ovvero, Midnight Special (a proposito, se qualcuno mi spiega il titolo gli pago da bere), non è altro che una nuova, inquietante, inutile, e brutta versione moderna di Close Encounters of the Third Kind (Incontri ravvicinati del Terzo Tipo) di Spielberg, nella quale - temo, fortissimamente temo - Adam Driver/Paul Savier starebbe a François Truffaut/Claude Lacombe (si salvi chi può!).
E più il film si avvia verso il suo finale, più la paura dell’irreparabile si fa strada (e, puntualmente, accade). Non voglio spoilerare ma a me gli ultimi 15 minuti sono sembrati totalmente deliranti.
Un altro dei motivi per cui questo film, l’ho capito dopo un po’, non decolla, è la sua assoluta mancanza di ironia. Che in un film di questo tipo, si sa, serve a stemperare, alleggerire, prendere fiato, respirare.
No, qui sono tutti d’un pezzo e d’una noia assoluta. Salvo un paio di battute di Adam Driver (che per altro gli altri personaggi non capiscono), questo non è un paese per gente simpatica. 
Paul Savier (Adam Driver)
Spiace dirlo, ma pure il cast non dà il meglio.
Michael Shannon, attore-feticcio di Jeff Nichols, ancora una volta nella parte del padre, è bravo ma un po’ monocorde, e a dire il vero mi ha fatto venire un dubbio sulla sua intera carriera, nella quale è tutto un susseguirsi di pazzi o gente con dei problemi seri. L’australiano Joel Edgerton è invece totalmente sprecato nella parte del poliziotto amico di infanzia del padre che decide di aiutarli (che poi, per quale motivo? ma vabbé, non chiediamo troppo): il suo personaggio è privo di qualsiasi sfumatura e di quel pizzico di ironia che davvero non avrebbe guastato. Per non parlare di Kirsten Dunst, che non fa altro che guardarsi intorno con aria sperduta e lacrimevole, senza avere una battuta decente o qualcosa di vagamente interessante da fare o da dire.
E pure il bambino, Jaeden Lieberher, non è per nulla convincente (e lo preferivo quando faceva il figlio un po’ depresso ed incazzato dei Masters in Masters of Sex). Sarà che dopo il bambinello di Room non ce n’è più per nessuno, ma il gioco d’attore qui è palesissimo. 
Lucas (Joel Edgerton), Roy, Alton e Sarah (Kirsten Dunst)
Insomma, io ve lo dico: ho l’atroce dubbio che Jeff Nichols sia una palla.
Ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo: aridatece ET!

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