mercoledì 7 ottobre 2009

C'est la Rentrée! - 3° Film


Se è vero che i film che mi piacciono di più sono quelli che mi restano in testa più a lungo, ecco a voi un film visto un mese fa e che ancora se ne sta in cima ai miei pensieri.
Vincitore del Gran Premio della Giuria all'ultimo Festival di Cannes (ma la Palma d'Oro, no?), Un Prophète è opera di Jacques Audiard, che dal 1994 ad oggi ha saputo imporsi come uno dei nuovi grandi registi francesi.
Dopo aver esordito con Regarde les hommes tomber e Un Héros très discret (entrambi con protagonista Mathieu Kassovitz, più conosciuto al pubblico per essere il regista di La Haine, L'Odio, e l'innamorato di Amélie Poulain), Audiard ha rasentato il sublime con i suoi ultimi tre film: Sur mes lèvres (Sulle mie labbra), De battre mon coeur s'est arreté (Tutti i battiti del mio cuore) e il film di cui vi sto parlando.
La storia di Un Prophète è molto semplice: Malik, un giovane arabo, povero e analfabeta, finisce in carcere con una pena di sei anni da scontare. A pochi giorni dal suo arrivo, viene avvicinato da César Luciani, l'anziano capo di una banda di corsi mafiosi che è il re della prigione. E' infatti a lui che tutti, incarcerati e secondini, obbediscono senza fiatare, pena l'essere barbaramente picchiati e in alcuni casi uccisi. Malik, dopo una prima, terribile prova per conquistarsi la fiducia dei corsi, entra a far parte a poco a poco del loro gruppo. Il suo è un cambiamento radicale: da impacciato e quasi timido, il ragazzo si trasforma in un duro quasi spietato. Impara a leggere, impara addirittura il corso e diventa in breve, grazie alla sua furbizia e alla sua intelligenza, il braccio destro di Luciani. Quando ottiene i primi permessi di libertà vigilata, continua a "lavorare" per lui in città. E infine, alleandosi alla comunità araba e da sempre contraria allo strapotere dei corsi, Malik riesce nell'incredibile impresa di fare il vuoto intorno a Luciani e sovvertire i giochi di potere all'interno del carcere.
Il cinema, vivaddio, ha ancora la capacità di sorprendermi come poche cose al mondo.
Se qualcuno m'avesse raccontato la trama di questo film senza dirmi chi stava dietro la macchina da presa, francamente, non ci sarei andata, a vederlo. Chi potrebbe mai aver voglia di sorbirsi un film iper-violento e iper-cupo TUTTO ambientato tra le mura di un carcere? Di sicuro non io. Eppure, questo film è esattamente il contrario di quello che ti aspetti. E' soprattutto un racconto di formazione, in cui assisti (e partecipi, perché la vivi con lui) alla trasformazione di un ragazzo che non può contare nemmeno su se stesso (è arabo e analfabeta, dove volete che vada?) in un uomo che ha imparato i codici così bene da saperli non solo usare ma servirsene per fregare chi glieli ha insegnati. E' una storia di conquista ma anche di crescita, di presa di coscienza del mondo, di scoperta dell'amicizia, del potere e del valore della morte, e della sensazione di beatitudine che ti può dare quello che sai fare bene (anche se quello che sai fare bene è fregare gli altri e uccidere).
Tutto questo non sarebbe stato minimamente possibile senza la presenza di un attore che per oltre due ore porta sulle proprie spalle il senso e il peso di Un prophète: Tahar Rahim, 28 anni, e un futuro radioso che lo attende. Ma i membri della giuria dell'ultimo festival di Cannes che problemi gravi devono aver avuto per non premiarlo?
La sua interpretazione è un work in progress proprio come il suo personaggio: all'inizio quasi animalesca, dove quello che sente te lo trasmette con il corpo e con lo sguardo (lo spavento in quei due occhi da bestiola intrappolata che ti fanno stare male solo a intravederli), e poi mano a mano si fa più sottile, parlata, raffinata. Il momento in cui Malik si butta nella macchina dopo aver sparato a degli uomini per strada è da brividi: l'estasi nel suo sguardo, quel mezzo sorriso che sale da una consapevolezza appena accertata, quel suo capire di essere la persona giusta al momento giusto, e forse anche il potere futuro che gli passa davanti in corsa.
E una menzione speciale, davvero non si può non citarlo, a Niels Arestrup, classe 1949, che nel film interpreta Luciani. Di un carisma e di una bravura senza pari (già lo aveva dimostrato nel ruolo del padre disgraziato di Roman Duris in De battre mon coeur s'est arreté). 
Ma, evidentemente, il merito di questa meraviglia va soprattutto a Jacques Audiard, che è una specie di Scorsese dei francesi, con quell'european touch in più che fa tutta la differenza. Perché Audiard non solo è un mago della macchina della presa, non solo ha una giustezza e una maestria nelle inquadrature che tutti i futuri registi di questo mondo dovrebbero studiare, ma alla perfezione stilistica aggiunge una profondità di sguardo e un'umanità straziante che lascia il segno su chiunque. In questo film, poi, si spinge ancora più in là: aggiunge un elemento metafisico, onirico, che all'inizio ti chiedi se sei tu che non ci vedi bene e fai fatica a cogliere e capire, e che poi diventa parte integrante del film, al punto che non te ne accorgi più e lo hai già digerito, e lo stai amando, e non puoi farne a meno.
E ti rendi conto che la magia del film sta proprio lì, nella commistione di questi due piani, due letture, due mondi, che si fondono insieme. 
E' buffo, ho parlato con tante persone di Un Prophète, e ho notato una cosa molto interessante: gli uomini hanno odiato l'inserimento di questo elemento metafisico, mentre alle donne è piaciuto moltissimo.
Che si fa? S'apre il dibattito?

3 commenti:

  1. Non è uscito in dvd magari con sottotitoli ENG o ITA ?

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  2. ecco, tocca che mi recuperi Audiard in blocco e in fretta. ;)

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  3. @anonimo: se vivi in Italia probabilmente il film prima o poi uscirà al cinema, si spera... troppo presto per un DVD, ma puoi recuperarti gli altri film di Audiard. Tutti i battiti del mio cuore è DA URLO!

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